Archivio del 15 maggio 2009

 

Sfilando un vecchio libro la raccolta è volata giù:
una scatola troppo semplice per frammenti di vita
ora sparsi sul pavimento
La mia piccola curiosona si china a stringere fra le dita
frantumi che io riscopro con lei che domanda cinguetta e ride
con occhi di meraviglia
			         Io tento di ripercorrere fra una foto e l'altra sentieri dimenticati
inciampando in dissesti solchi e reticenze con ombre troppo lunghe per il nostro breve corpo;
con me stesso giovane baldo e bello così com'è l'incandescente gioventù
che alla mia civettuola bambina non posso che rispondere
con accorti aggiustamenti;
tanto che derido ogni dolore e sminuisco ciò che fu ogni mia gioia o rimpianto
Oh adesso non puoi capire mia testolina gli sguardi di tutti quelli a volte persi o sorpresi;
quei sorrisi che nascondevano un'altra verità:
ciò che manca fra le tappe di qualunque lunga strada
Ma volevo dirti una cosa
e ora te la dico:
		     al di là del bene e del male
dell'abisso della notte e il fulgore del giorno
io ho sempre avuto alla fine la mia buona stella
-una buona stella sul mio cammino-
se oggi posso avere una casa così confortevole e grande
dove ho trovato finalmente un approdo
con accanto te mia tenera mariposa di sangue di mare di cielo;
stella terrena che rifletti la mia piccola vita gettando luce
in ogni angolo del mondo
La riproduzione di una casa inglese fine ottocento  
da alcuni anni ci segue in tutti i Natali; 
perfino in questo nel quale quasi fino all'ultimo giorno 
non mi è stato regalato un augurio 
e anche il mio cuore si è dimostrato muto 
verso il vicino e il mondo intero
				            Incurante delle guerre agli estremi
le carestie planetarie i crack finanziari nel vecchio continente
l'America che vacilla al di là dell'urlo estatico per Obama;
le borse asiatiche in tracollo 
l'impossibile pace di ogni medio oriente e oltre 
con la Cina che barcolla occultando il prezzo amaro
della sua folle corsa  
la pace di questo palazzotto che si prepara all'Avvento 
riluce incurante di perline verdi rosse e opalescenti 
fra i festoni che adornano i suoi cornicioni 
creando un caleidoscopio pulviscolante di luci 
già dai due graziosi abeti ai lati: 
l'ora serale in cui tutto accade è fissata in eterno 
alle otto meno cinque sulla pendola all'interno di una grande vetrata 
in cui si intravvede l'anziana donna che serve con un lieve sorriso 
una terrina al marito coi baffi in flanella e giacchetto;
la pipa fedele appoggiata sul tavolo
				                Una ghirlanda protegge la loro pace 
appesa all'ingresso della cucina dove si intuisce oltre le tende 
quella parte di casa dormiente dalla quale i loro figli anzi tempo 
sono volati  
	       Nel salotto dell'appartamento a fianco 
una giovane coppia finisce di addobbare l'albero:
l'occasione ha esiliato il loro ardori e solo gli occhi paiono brillare 
di una luce più grande; i pacchi incartati dei regali 
in attesa  in un angolo 
Una madre sul ballatoio della scalinata d'ingresso  
con in braccio un bimbo felicemente infagottato 
chiama o forse saluta qualcuno guardando lontano 
mentre la luce dei due lampioni appesi alla tettoia li indora 
E sull'angolo un ragazzino per strada coi pattini a tracolla 
trascina la sua slitta carica di un abete 
sulla prima neve caduta
aiutato dalla sorellina con le trecce bionde 
che spuntano dal rosso cappello




Potrei guardare infinitamente 
questo scorcio di vita cristallizzato
galleggiante per sempre 
sulle note della sua giostra sonora 
che ci ha traghettato per dieci Natali 
dall'angolo di ogni nostro presepe 
Anche se oggi inaspettatamente traspare 
oltre alla  placida gioia innocente che questa house music box traspira 
ciò che prima era sfuggente: ci sono sulla facciata 
altre ampie vetrate opacizzate e piccole finestre illuminate 
che nulla lasciano intravvedere
Forse è anche lì il dolore del mondo; 
la sopportazione quotidiana di qualche sofferenza  
l'insopportabile disagio di ogni storia malata che talvolta non vediamo 
o non vogliamo vedere: 
nascosti come la vita oltre queste finestre di appartamenti alle cui porte 
dovremmo avere il coraggio di bussare
Ho letto da qualche parte 
che un poeta quando scrive 
deve sentirsi in pace col mondo 
E probabilmente dev'essere vero 
se dopo la rabbia  l'odio il furore; 
il troppo clamore che agita il mio sangue   
c'è un momento; un momento improvviso e insopprimibile 
in cui sopraggiunge l'Angelo 
			               L'Angelo a sfiorare le acque; 
toccarla fino a farla increspare come i gironi del paradiso 
e allora la mia anima lievita fino a salire verso la somma vetta della compassione: 
venite genti tutte; il mio amore è cieco verso i miei e i vostri peccati 
tanto da riuscire ad abbracciare il puro e il dannato 
il vincente e il perdente il violento e il mansueto 
il saggio e lo stolto; 
l'eretico il fanatico e il santo perché solo adesso sento 
che siamo un'unica parte indivisibile del tutto:  
miseria e splendore del mondo
Quando comprammo la prima casa e venne fatta ogni cosa 
affinché nessuna pendenza fosse lasciata al caso
ci trovammo in uno studio notarile che nemmeno ricordo 
Probabilmente perché il notaio attrasse tutta la mia attenzione: 
pallido quasi eterno coi biancastri capelli ingommati;
asciutto come una mummia esangue nel suo abito di buon taglio 
pur nell'eccessiva appariscenza; le mani lunghe e secche 
appesantite da un grosso anello vermiglio sulla destra 
e una fede di brillanti su quella sinistra 
Potevano mancargli il rolex e una penna d'oro?
Eppure non riuscivo a fidarmi né delle sue parole che uscivano con un soffio 
né del suo assistente che mi voltava le pagine che dovetti firmare tutte anche perché 
con ostinazione le lessi tutte e qualche mia domanda gli fece stringere gli occhi di ostilità 
verso la mia velata o chiara diffidenza 
Lo salutai con distacco stringendogli le punte delle dita come se temessi che con quel gesto 
portasse via qualcosa di me

La seconda casa furono 6 mesi di tormento passati sull'orlo della fregatura 
ma quando rimediammo faticosamente insieme i pezzi ci presentammo da un altro notaio
Beh stavolta era una donna e di quale specie dovreste vederla 
perché io sono incapace di descriverla
Non sono uno da non sapere che donne come quelle possono ribaltare o schiacciare
il piccolo o grande mondo di qualunque uomo e abbiano arti talmente raffinate 
da poterti far credere un pipistrello per un rondone 
Apparve leggera come il suo vestito di tulle truccata discretamente 
con un tenue profumo che rovesciava i pensieri; spingendo al suo avanzare 
gli altri numerosi attori sul fondo della scena 
Si può parlare del corpo e quel suo viso quando lo sguardo annienta 
la loro pur conturbante attrattiva calamitandoti in una sensazione di metodo e d'ordine; 
un ordine di cifre e normative fermamente rassicurante? 
Con lei avvertii l'ineluttabile legge degli affari  che diventano corretta dolcezza 
quasi amore per il suo mestiere attraverso lei che ti chiede in silenzio di lasciarti guidare
e firmi tutte quelle carte che diligentemente ha letto e tu non hai pressoché ascoltato
convinto che nessun inferno è nascosto sulla punta della stilo
che fa volteggiare fra i riflessi del suo magico anello 

Infine ha sorriso come a dire un candido “E' così”
E allora ho pensato che giunto all'estremo contratto che la vita ha stipulato con me  
mi aspetto di trovare un notaio come lei e firmare la mia dipartita coi crediti e sospesi 
consapevole che tutto è in ordine; ciò che c'era da fare è stato fatto irrimediabilmente 
e dopo aver firmato dire col suo stesso dolce inesplicabile sorriso
“Così sia” 
Della poesia parlavo col professore
e spiegavo la sua china nella mia mano
ostinata ultimamente 
a prolungare i miei versi in prosa:
“La poesia è un'arte giovane sebbene antica;
batte il tumulto negli anni della fantasia
cesella la speranza persevera: annusa la verità con radici di caos
Scostante e sempre in movimento: come il primo arco di età; 
ma già il secondo la reclina fino ad ammansirla la Musa”
Saggia oratoria professore: domani le tirerò il collo 
e comincerò un romanzo
Mentre giocavamo a carte
Marta me lo ridomandò
— Perché ci comportiamo così?
Spiegami ―diceva― dimmene la ragione —
E sempre con quella linea uguale:
triste increspatura della sua bocca
— Te l'ho già detto tante volte;
concludiamo la partita! —
			             Lei muta
continuava il suo vino mentre io lo rifiutavo
e le carte cadevano stanche come le nostre parole
Soffrivo per il mio piccolo amore
ma era inutile sciorinare
la mia spicciola psicologia  —irriducibile mania—:
suo marito orfano di guerra scontroso per vicissitudini
e lei figlia di bigotti austeri
I loro litigi arrivavano puntigliosi
precisi come cicli di luna
			           Ma
c'era un fiore sempre vivo
un fuoco disperato infine
a farli rincontrare

			        Finché non fuggì via
			        Lei
Marta della sopportazione
del dolce inferno consolato dal vino
Se ne andò con un silenzio uguale alle precauzioni prese;
ciò non di meno, fece molto rumore al paese:
molto più del suo treno di liberazione
Oltre ogni porta
		      Nei crocchi
di donne acide e uomini crudi
se ne parlò a lungo contro il tedio delle giornate;
più di uno aggiunse la sconosciuto particolare
Io piansi per la mancata confidenza
mentre lui “la bestia nera” “l'orso”
suo marito insomma
andava per strada con strafottenza
dando l'immagine migliore di sé
alla curiosità dei passanti;
la Fede la regalò:
		       che la voce volasse;
era il più libero degli uccelli

La mia amicizia si fece da parte con discrezione
mentre intanto arrivava l' autunno
a far dimenticare le verdi cose:
ognuno volle altre letizie pruriginose
per le sere accanto al fuoco
			               In pochi poi
seppero collegare quando accadde
l'improvviso cambiamento “dell'uomo che perse la moglie;
gli fuggì di casa Dio solo sa dove”
alla moglie che perse:
                              abbandonò
		          il sicuro impiego
                          impiegò i risparmi
per una modesta casa con un po' di vigna
		             Come un eremita
la barba sempre più incolta
il tempo lo passò a pensare o a non pensare
a dimenticare o a ricordare
—lo sguardo sempre troppo fisso all'altezza del cielo—
seduto nella comoda poltrona sotto la tettoia
Pochi anni per passare
come “il tipo strano” “filosofo” “un po' scemo”
capace di qualunque mestiere “poteva fare strada”

                                                Il suo cruccio era
			     la sua bianca strada
(ciottoli e polvere tormentata dal sole
fangosa e infida sotto i flagelli invernali)
che avrebbe voluto accomodare
— Non è spesa del Comune —

Come passano lente le stagioni
lontani dal rumore della vita
dopo aver tolto la cassetta postale
ormai completamente inutile
			               Subire
lui non passero furtivo di finestre generose
gli inevitabili legami della sopravvivenza:
fare una spesa frettolosa sotto il peso degli sguardi;
esser chiamato per osservarti meglio
ad aggiustare un lavandino o zappare la terra;
oppure scaricare un camion
con la sua muscolatura adatta
                                          Il suo viso
divenne l'eloquenza della maschera:
la donna gli lasciò in ricordo
la stessa triste increspatura che ben ricordo
mia tiepida amica

Un giorno di mattina presto
arrivò una gagliarda squadra di operai
Di mattina presto cominciò a rivestire la strada
come una sinuosa signora in una guaina nera
“L'orso” che non capiva fece qualche domanda:
— Il Comune non c'entra; tutto è già stato pagato
e non so proprio da chi —

E la strada
oh la strada che è lì dopo tre giorni
    Proprio come l'aveva desiderata
      alla sua sotterranea sorpresa
        e quella evidente dei passanti:
          nera e lucida come l'invidia.
          Rotolò ancora il tempo
          o scivolò come la pioggia sulla strada:
        come un dolce scivolo ne lisciava il dorso
     in preda al dubbio:
   come la sua mano sul suo gatto
Pareva in attesa quella strada
come il suo cuore
			        Potrete mai immaginare
                                          con quale trepidazione
un giorno; un altro qualunque anonimo giorno d'inverno
con quale pozzo inquieto di dubbio
con quale peso di speranza
con quale paura di disillusione
può percorrere una donna
“La donna fuggita!” “La sposa!”
la strada da lei fatta rifare
percorsa come verso un nuovo altare?
                                                     E potrete
potrete mai immaginare quale tipo di marea
gli percorse le viscere — a lui “l'uomo abbandonato”;
che perse la moglie o si fece perdere —
quale sentimento non fece parlare la sua bocca
non lo fece muovere dalla poltrona
respirando fra l'umida terra
un po' del suo nuovo profumo
occhi contro occhi
		           passato contro passato?
		           Il silenzio si nutrì di silenzio
e nulla venne pronunciato quando lei ridiscese
coll'ombrellino chiuso;
e non so dirvi se essa piangesse
perché le lacrime e la pioggia
non hanno diverso colore

                                   Cosa ci può essere
                                   in questa situazione?
In una situazione come questa
cosa ci può essere che le cambi dimensione
e dia significato alle cose più banali
e rafforzi quelle grandi già esistenti
se non il suo scatto dalla poltrona
come a un morso di dolore mai urlato
come una piaga percossa
bisognoso come una fame?
E la sua corsa giù per la vigna
imprecando
                incespicando
sicuramente piangendo
con le scarpe di grassa terra
raggiungerla
e gonfio d'affanno dirle
come glielo disse:
		         — Ostinarci,
Marta; dovremmo ostinarci ancora? —
Risalirono la strada nera
come una traccia sicura:
al riparo dal mondo
Un poco al riparo