Nel giardino di WILLIAM ROSE 1857 TRADUZIONE: Salvator V. Rosati
Archivio del 25 giugno 2009
Il Giardiniere
Passa in un bel bosco il boscaiolo e si domanda quanta legna ci può fare Sopraggiunge il carbonaio e da quei tronchi soppesa tante pile di carbone. Arriva il poeta e la sua anima vibra raccogliendo una foglia: quella che lo studioso osserva analizzando ogni albero e ogni pianta. E cosa dire del cacciatore che già insegue nel pensiero tutte le nascoste prede che un pittore incantato dipinge? Io sono il Giardiniere che con tutti i loro occhi vede e ogni loro ragione comprende.
Sapessi anch’io come loro
Mansueti e imperturbabili
i miei dolci fiori
come sempre si offrono
a ogni cielo volubile.
Sapessi anch’io come loro
vivere senza nulla pretendere
docile e flessibile a ogni tempo mutabile:
offrire anche all’improvviso gelo
la mia corolla splendente
o cedere più semplicemente
la mia grinzita foglia.
E senza rimpianto alcuno
per il mio gambo curvante
grato fino all’estremo attimo Signore
di respirare.
Qualche volta non so
Qualche volta non so perché dobbiamo amare solo le superbe corolle o le foglie lucide e splendenti quando sono i rovi e le lancinanti spine a darci la misura della nostra statura.
L’alchimia dei pollini
Quando mi appropriai dell'alchimia dei pollini creando primule multicolori rose screziate e cangiando in bianco i papaveri e in giallo le viole gli animi semplici si complimentarono e riempirono le loro case di nuovi colori. Non così il prelato e i suoi bigotti che senza dirmi parola mi tolsero il saluto e nascosero le loro ragioni dietro un segno di croce. Ciò che intesero mi fu ben chiaro quando la mia dirimpettaia mi urlò “Blasfemo” e se per caso io volessi sostituirmi a Dio. Ma io volli solo trasportare i suoi meravigliosi colori nei miei fiori prediletti. E se ciò reca offesa senza mia intenzione al suo più alto disegno o a ogni opera originale che uccida allora il mio piccolo ingegno e con esso bruci ogni mia presunzione.
Primule multicolori
Dopo un’età di fatiche
la mia bella casa mi accoglie
e fino all’ultimo ninnolo
sorride.
Ma fra le coppe d’argento
l’ebano delle cornici
e le damascate poltrone sotto un prezioso alare
il sorriso migliore esplode dal davanzale
dove primule multicolori
gettano luci gioiose sui tappeti dell’anima
e contro cui ogni altra cosa intorno
spesso ai miei occhi scompare.
Nel nostro intimo Giardino
Nei giorni di furiosa attività scorrevo i dorsi dei libri con afflizione troppo preso a volte per una sola pagina troppo stanco spesso per un solo frammento. Miglioravo parchi e delle case abbellivo i giardini insoddisfatto talora delle più argute soluzioni. Finché non divenni così solido da potermi risedere allo scrittoio dopo aver scelto un titolo dalla mia dimenticata libreria. E allora finalmente lo capii che i libri sono gli alberi e certe frasi i loro fiori migliori che possiamo cogliere o piantare nel nostro intimo giardino.
Ora che so
Un giorno lessi quel tale Carlyle; un filosofo dall'impeto travolgente. "I tempi languono, dissecati rami; non è più tempo di veri uomini: i grandi eroi” La pensavo anch'io così prima di lavorare per qualche tempo in una di quelle nuove fabbriche che come funghi spuntavano nei miei sobborghi. Sudore, lezzo di unto e polvere di metallo; e curve schiene dentro giornate vuote. Ora che so quanto valga per ogni pianta il terreno fertile e la cura contro la calura o il gelo e la fresca acqua e ogni sana potatura dico che di giorno in giorno stentatamente avanti erano eroici anche quei ruvidi operai così come questa storpia mammola che non demorde ed offre uno stremato fiore fra questa zolla riarsa.
Dietro il coraggio dei grandi
Beh Carlyle qualcosa di vero tu lo dicesti tanto che stasera trascino i miei mesti passi all'ombra di un ricordo. Ora ci fu quella guerra; una come tante perché tutte paiono alla fine assurdamente senza senso insensatamente crudeli e io ero militare al comando di “Picche”. Era un suo modo di dire di quando doveva diniegare, dalla sua grande passione di giocatore di carte: era diventato il suo nome e probabilmente vedeva davvero il mondo come un'eterna partita. Ma io ch'ero dietro in quella battaglia accasciato da una ferita e vedevo il prossimo diluvio sui miei compagni ebbi la forza di rialzarmi — lui che mi fece scudo —; lui che fu pungolo e baluardo dei miei cento compagni lanciati all'assalto: petto trafitto dai colpi occhi riversi di un blu lancinante. È tempo di potare le rose sulla collina accanto al cipresso sotto cui egli riposa e dove ho trovato la forza del mio piccolo gesto; noi dal nostro piccolo coraggio dietro il coraggio dei grandi.
Il mio silenzio ritorna parola
Ci sono giorni di furore giorni tesi alla fuga. Niente è pace nel mondo e persino la mia casa è straniera. Solo nel mio giardino allora ogni mio silenzio ritorna parola ogni chiasso del cuore ridiventa pace.
Erbe matte
C'è un angolo di erbe matte lungo un dosso del mio giardino lasciate in tanto ordine senza apparente ragione. Ma quando il miracolo di ogni estate appare attratte dagli umidi umori di queste erbe migliaia di lampare; le eterne lucciole dei nostri sogni si danno convegno. E così ogni cosa, perfino la più disprezzata ha una sua ragione ed io vengo guidato anche nella più buia notte all'estremo giardino da quel pulviscolante faro. Io che nelle estenuanti notti di queste sere fra questi lontani e presenti odori ritorno il bambino che guardava il mistero del mondo con occhi stupiti.
Spento acceso
Acceso spento acceso acceso spento spento acceso spento spento acceso accesi accesi spenti accesi spenti accesi accesi accesi. Pare che siano richiami d'amore ed io per un attimo tremo per tutti gli amanti del mondo e i miei perduti amori.
Regineth
Anni fa mi invaghii di Regineth: era un'attrice alle prime armi. E a una sua prima mi presentai con uno smagliante mazzo di anemoni viola: urlò come un'ossessa, mi spinse in una pozza rinunciò alla sua parte e non la vidi più. Fu così che seppi a mie spese della proverbiale avversione degli attori al viola.
Un brandello per ogni fiore
Delle donne che potrai pensare come fiori non saprai dimenticare la rossa Giusy scanzonata e ridente come un girasole; come un narciso l'esile Mara distaccata e vibrante e fresca come una primula la giovane Dora. E che dire di Betty dallo sguardo altero e i fianchi intriganti come una rosa? Ma tutte ahimè non le potrai avere come in un giardino; così quando ad una di esse offrirai il tuo cuore ne mancherà un brandello per ogni fiore.
La signora “Gelsomino”
La signora “Gelsomino” è la cliente di ogni estate nonostante il tempo inclemente di ogni nostro inverno le incenerisca le radici. Sui suoi terrazzi ne vuole a iosa di gelsomini. E al loro primo profumo stringe le nari rabbrividendo come una puledra; gli occhi socchiusi in rovesci di sole: — Ah l'Africa, l'Africa. Tu non sai dell'Africa! — e c'è più in quella esclamazione che in un intero racconto.
Finché una notte
Giuditta mi porse quel raro libro; aprii a caso e lessi a voce alta "La favola della formica e la cicala” Il giudice fu compiaciuto del piacere di sua figlia e del suo regalo — Eh! Bisogna aver giudizio... — sentenziò quando lo finii, — e voi caro William cosa vi sentite ditemi: chi vorreste essere? — Sorrisi; ma non gli dissi di un tempo in cui mi trovai in un dilemma tale che riempì di incubi i miei giorni. Finché una notte non sognai di essere diventato una formica dal cuore di cicala.
Nel nuovo emporio
Insomma io ve lo dico non potrei che continuare ad andare da William Rose; pure aumentasse i prezzi di un bel pezzo. E voi andate ammassatevi pure nel nuovo emporio fra quell'ammasso di merci e l'occhio fisso a braccare i prodotti urtandosi l'un l'altro senza quasi vedervi ansiosi di uscire al più presto da tutto il pecorame come una guerra del pane in tempi di guerra. Credetemi almeno i fiori vanno trattati come bambini seppure alcuni genitori li strozzino e non c'è niente di meglio che farmi spiegare dal mio Willy ricordando l'annata gonfia di rose del mio giardino e il mio geranio presente. E non sentirmi “legga le istruzioni” e veder trattare un fiore come una verdura e peggio come un cotechino; e sentirmene parlare con la stessa indifferenza di un tocco di pancetta o di un calzino.
Le bancarelle della vita
Accadde che al Giardino Botanico comprai dieci nuove piante esotiche e una mi colpì in particolare. Le esposi in vendita fra l'ammirazione dei clienti che fecero cento esclamazioni su quella che mi colpì in particolare. Ma al momento di sceglierne una quelli che potevano comprare –dato gli alti prezzi- chi per una ragione e chi per l'altra al momento decisivo acquistarono la loro pianta lasciando lì invenduta la stessa che ci aveva colpiti in particolare: ottima estetica buona resistenza giusto prezzo a nulla servirono; vanamente a convincere i clienti mi accalorai. Così non potei fare a meno di pensare a certe ragazze che paiono perfette ma che poi alla fine rimangono non scelte sulle bancarelle della vita.
Il prezzo di un dono
Il bambino mi guardò stringendo fra le mani il suo prezioso salvadanaio “E' quella la pianta che mi vuole regalare;” mi spiegò la madre “proprio quella pianta. Ma c'è un problema:i suoi soldini non gli possono bastare”. “Vediamo” dissi io. Il bimbo bello come può esserlo solo chi ha questi precoci pensieri mi versò sulla mano tutti i suoi penny dalla scatola di latta. “Ecco. Questa è sua, signora; e questo il tuo resto ometto”. E quel giorno nessuno mi pagò altrettanto bene una pianta o un fiore.
Balliamo mio giovane William
Apparve all'improvviso mentre noi sul piazzale danzavamo musiche popolari alla Festa dei Fiori. Apparve come un dio: alto gagliardo dalla salda muscolatura sotto quelle nuove tute d'atleta di non si sa quale disciplina. Alcuni dei presenti soprattutto quelli avanti negli anni sempre ballando lo osservarono. Ed egli dalle nocchie possenti sudato come doveva essere Vulcano nella sua mitica fucina a sua volta ricambiò con un sorriso enigmatico e un'aria canagliesca ma mai cattiva. Miss Thelma col suo sorriso di rosse bacche dopo avergli lanciato uno occhiolino scherzoso mi esortò: “Balliamo mio giovane William; almeno voi -Dio volendo- abituatevi a ciò che infine sarete: una simpatica striminzita figura come me che danza su una vecchia musichetta. Perché se anch'io vedo in lui il mio passato e il vostro presente lui ancora non vede che c'è un posto vuoto che l'attende -Dio volendo- su questa stessa pista.
Un’ombra passa
Talvolta un'ombra passa e talora è un palpito improvviso; un pensiero ossessivo ad incupire la notte. Non è stagione di rifugiarsi in giardino per dissolvere l'ansia in bagliori: tutto parla della Nera Signora sotto questo cielo invernale; e chi allora non ne ha mai provato paura? Ma negli inscrutabili sogni fra le lenzuola il mio sussulto ti risveglia e allungandomi una mano la tua voce suona come una sorgente: “C'è qualcosa amore?” Così al mio fianco ritrovo un fiore palpitante con troppa vita dentro ; per dare ancora retta alla Nera Signora.
Il Parco
Tutto cominciò quando acquistai il Parco a ridosso del mio Giardino per sottrarlo alla speculazione. Un giorno Brigith arrivò col suo canarino morto stretto fra le sue piccole mani: “Voglio che abbia una sepoltura”. E lo disse varie volte con una decisione nella voce che non ammetteva repliche: “Voglio che abbia un sermone”. Insistette ancora quando lo seppellimmo in un angolo del Parco che parve andar bene. “Signore -iniziò lei con una mano sul cuore dopo il mio evidente imbarazzo- tu sai che per me ho detto molte bugie. Ma non credere alla mamma: Flock non era affatto stupido ed odioso e si faceva capire bene. E in ogni caso mi stava ad ascoltare molto più di quanto fa la mamma che non fa altro che lasciarmi con miss Barklej l'istitutrice o Mary la cameriera; Giudith la cuoca oppure la governante. Ti prego -quando ci rivedremo- fa che il mio uccellino sappia parlare o fai cinguettare me: così la mamma lo capirà”.
Nessuno sapeva
Erano così uniti che camminando nessuno sapeva chi dei due seguisse; anche adesso che la terra è fresca sulle stanche ossa del buon vecchio John. Mugola gratta ringhia perfino; ferocemente abbaia coi suoi denti gialli lui di solito perennemente scodinzolante tanto che il becchino l'ha lasciato andare sulla tomba del vecchio John. Ulula la sera; ulula e non smette smettendo di bere e di mangiare accucciato per tre giorni sulla terra dello stanco John. “Che fastidio” e “Non è bene un cane fra i cristiani” “Bisognerebbe acchiapparlo; cacciarlo via” “Allontanarlo assolutamente; che scocciatura anche il vecchio John”. Ma i cani hanno un istinto fiutano scelgono; con gli occhi parlano e forse capiscono: di certo amano e così a volerlo acciuffare nessuno lo ritrovò più fra le tombe il cane del defunto John. Sono passati dieci giorni e io alla fine so tutto di tutti; perfino del cane del vecchio John che si è nascosto e finalmente si è lasciato morire o più semplicemente è morto sognando la mano del suo padrone disteso sulla terra del buon John. Ora c'è una tomba in più nel cimitero degli animali: “Al caro e fedele Whisky. Come avrebbe desiderato John”. E anche Lassù sono sicuro che nessuno sappia dire chi dei due camminando vada avanti e chi segua.
Il mio cavallo migliore
A Everly il mio cavallo migliore; perché amai ciò che avrebbe potuto diventare non il suo destino avverso.
Parole per un pesciolino
Non deridete queste parole per il mio pesciolino che portai dalla costa. Nella vasca in cui viveva i suoi guizzi muovevano i ricordi: le scorrerie fra le rocce; le attese indistinte seppellite dal tempo come dal mare le orme sulla sabbia. C'è un po' del mio cuore in questa piccola fossa.
Good bye Micia
In una notte di pioggia sei apparsa silenziosa strusciandoti contro la mia gamba; gli occhi come due stelle cadute dal cielo. Altrettanto silenziosamente te ne sei andata a riportare nel firmamento quelle due stelle rubate per gettare un po' di luce sulla mia strada.
Da Edy
Dormi coccolone: tu che eri il migliore dei cani e sei finito col peggiore dei padroni.
Il blog di Rosati
Ciack: prima!
Cari naviganti,
per varie ragioni il blog rimarrà sospeso per un certo periodo. Ho provato a inventarmi qualcosa di carino e plausibile, per giustificare in qualche modo questa decisione, ma alla fine la ragione più profonda è la cronica mancanza di tempo.
Non scopro nulla di nuovo, visto che molti di voi sono nelle stesse mie condizioni; ma personalmente è stato uno di quegli anni (08/09) particolarmente critici, che mi auguro stia volgendo al termine.
E’ proprio in questa prospettiva, che con alcuni mesi di ritardo, liberalizzo il mio sito.
D’altro canto in origine voleva essere solo un contenitore dei miei scritti, da far conoscere sul web -soprattutto quelli non pubblicati- evitando la trafila solita: le letture, presentazioni, conoscenze, rifiuti, richieste di danaro o obbligo a frequentare circoli, cenacoli letterari e quanto d’altro.
Non tanto perché sia insofferente a questi contesti e procedure, ma probabilmente perché in passato in altre città, qualunque luogo o momento, era deputato a poter parlare di poesia o letteratura; o sentire canticchiare una nuova canzone.
Bastava che qualcuno ti presentasse, o presentasse te con quella frase che riferita personalmente nei miei confronti un po’ mi imbarazzava, ma che accettavo naturalmente nei confronti degli altri e la giostra cominciava: “Ah; ti presento Giovanni: è un poeta.” Oppure “un cantautore” o il più contenuto rispetto a scrittore “scrive romanzi”.
Era la chiave per disquisire sullo scibile umano fino all’una, tre di notte, o cinque del mattino.
Ma parlo di un mondo che non c’è più, almeno per me.
Non sono e non posso frequentare più quelle città di allora; o ne sono stato estromesso, finendo in quell’area geografica in cui l’ossessione più appetibile per i suoi abitanti, è -adesso un po’ meno visto la crisi e forse per un leggero, per fortuna, cambiamento- “I danè…i danè!”
In questa città, anche le gattare devono o comunque dovevano appartenere a un circolo, un’associazione che le legittimasse, altrimenti eri semplicemente un cane sciolto: anche se di razza, pur sempre un cane sciolto del quale diffidare.
Rimpiango ancora gli animali solitari di allora, che a un certo punto tiravano fuori dalla tasca un foglietto spiegazzato, o ben ripiegato dentro a un libro, scritto a mano o a macchina e leggerlo su un autobus, una panchina, per strada, una trattoria o un’osteria e dopo averlo scorso indicandolo o rileggendolo esclamare: “Cacchio; non male…Puoi lasciarmela?” Domandavo riferendomi alla poesia. “Carino il testo…come fa la musica?” Se si trattava di una canzone.
Alcuni di questi hanno avuto e ancora hanno successo -magari nel campo della musica o dello spettacolo- e sono contento di averli conosciuti quando non avevano nessuna medaglia, pergamena, o qualunque tipo di onoreficienza appuntata sul petto o in qualche parete dell’abitazione; aver condiviso un loro scritto e magari dato qualche consiglio.
Nel corso del tempo, ho regalato o venduto buona parte dei libri che avevo e tutti i long-playng; trovargli una sistemazione nei continui spostamenti e cambi di abitazione, era diventato insostenibile.
Ora ho una dimora fissa, una famiglia, e resisto eroicamente in un onesto e detestabile lavoro quotidiano.
Per fortuna ho preso confidenza con ciò che istintivamente rifiutavo, ma che razionalmente anche se confusamente, percepivo che poteva aprirmi nuove possibilità: il computer.
Cinque anni fa mi sono reso conto, che potevo scaricare e riascoltare in mp3, la prima canzone che avevo imparato in inglese dal primo vinile che avevo acquistato e non sentivo più da almeno vent’anni: mi è parso in qualche modo, di riappropriarmi di una parte del mio tempo passato.
Così sono anche andato a cercare poesie online dei poeti preferiti, che non leggevo ormai da millenni. Ho scoperto siti interessanti di gente che vive in città da me, una volta, piuttosto frequentate…Chissà, con questo strumento sempre più futuribile, forse ho trovato il modo di ricomporre alcuni ricordi; ricontattare animali solitari, lupi o cani sciolti; gruppi con interessi comuni.
Magari ritrovare il tempo per svegliarmi alle quattro del mattino e rispondere ad una e-mail…
Il pensiero del giorno
Anche la vergogna si vergogna, dell’odierna politica.
Filidoro