Chi fosse o cosa non sapevo 
quando cominciasti a recitare
confusa fra il chiasso spavaldo dei clienti; 
fra briciole di pane e odori di soffritto e vino
mettevi in bell’ordine parole di pagine a memoria
con la voce come un murmure sospinta
dal fondo limaccioso di una identica inquietudine


Nero era il tuo vestito di flanella 
che ti tratteneva il tornito seno
tale a quel cielo invernale costretto fuori 
oltre la finestra dalle tendine tirate
su ineffabili costellazioni
“Dostoeschij: L’idiota” mi chiaristi infine
e fu lo stupore di quando un vecchio del mio paese natio
con me ancora adolescente da qualunque verso dell’opera
proseguiva a mente l’intera Commedia


Tutta la nostra vita pareva convenuta là;
mentre abbandonati a quel tavolo  
come su un legno di fortuna fra i marosi
proseguivo ormai stordito
a fissare le tue labbra 
colme di timidezza e di lussuria 
“Dostoeschij” ti chiamai
per l’intera notte e i giorni avanti;
ma tu sei stata corpo e sentimento
desiderio e tenerezza 
destinata a sciogliersi nel tempo 
in rivoli di storie
		      E’ per questo mia Giò
che in me l’Autore è il capitolo di un libro
mentre tu sei diventata per sempre 
un palpitante romanzo